The Last of Us: Part I Remake

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[RECENSIONE] The Last of Us Parte I Remake

“LO GIURO.”

The Last of Us è un’opera che non dimenticherò mai. Arrivato al tramonto della generazione PS3, il gioco di Naughty Dog riuscì a cambiare per sempre il mercato videoludico con qualcosa che fino a quel momento non si era mai visto; e non mi riferisco più che altro alla sua grafica spacca-mascella resa possibile anche grazie alla tecnica del performance capture, o al suo gameplay tutto sommato canonico ma efficace. No. Il motivo per cui porterò per sempre nel mio cuore The Last of Us è la sua scrittura sopraffina, una narrazione talmente potente in grado di lasciarmi, ieri come oggi, senza fiato dall’inizio alla fine, da quell’incipit potentissimo, a quel finale ambiguo semplicemente perfetto, senza dimenticare i singoli momenti memorabili che permeano le quindici ore che trascorreremo in quel mondo.

Ed è un mondo completamente allo sbando quello ideato da Bruce Straley e Neil Druckmann, una realtà in cui la speranza è morta e l’umanità non ha più un futuro: l’epidemia causata dalle spore del fungo parassita Cordyceps ha mutato gran parte della popolazione degli Stati Uniti d’America in creature estremamente aggressive e senza controllo; non esiste una cura e i pochi sopravvissuti sembrano essersi completamente rassegnati al fatto che non ci sia alcuna possibilità di tornare alla vita di un tempo. I personaggi rappresentano il vero punto di forza del gioco, tutti – dal primo all’ultimo – incredibilmente imperfetti in grado di trasmettere emozioni viscerali da risultare veri, umani. Joel ed Ellie ne sono la prova più lampante: nell’anno solare scandito dall’intercedere delle quattro stagioni che passeremo in loro compagnia nel loro viaggio verso Ovest, vivremo un rapporto padre-figlia che si evolve continuamente e che ci terrà incollati allo schermo grazie alle interpretazioni magistrali di Troy Baker ed Ashley Johnson, dialoghi mai banali, bugie laceranti dettate dall’egoismo e silenzi assordanti, il tutto accompagnato alla perfezione dalle note malinconiche composte da Gustavo Santaolalla.

Ma se The Last of Us è un prodotto che risulta ancora attuale a distanza di nove anni, ha senso riproporlo oggi addirittura con un remake? Intendiamoci, quando il progetto è stato annunciato non ho, come parte dell’Internet, imbracciato i forconi inneggiando contro la presunta avidità di Sony nello sfruttare fino in fondo la gallina dalle uova d’oro, ma non ero neanche in preda all’hype. D’altronde The Last of Us Remastered per PS4 rimane un gioco validissimo e si può giocare su PS5 in retrocompatibilità; non sarebbe bastata al massimo una patch per migliorarne le prestazioni? Dubbi legittimi, ma è pur vero che oltre che agli appassionati il titolo si rivolge anche ad un bacino di utenza nuovo: il pubblico casuale che potrebbe esserne attratto dall’adattamento seriale televisivo in arrivo su HBO, i possessori della console di nuova generazione e, prossimamente, i giocatori PC e anche quelle persone che si sono approcciate per la prima volta al brand partendo dal secondo capitolo. Quel The Last of Us Parte II così tanto superiore al primo pad alla mano, un divario che Naughty Dog ha voluto colmare dando a questo remake un senso di continuità con il sequel non solo dal punto di vista ludico e visivo, ma anche aggiungendo la dicitura “Parte I” nel titolo e dando più spazio ad Ellie nella key art ufficiale.

Quello che è cambiato rispetto all’originale è soprattutto la componente visiva. Nonostante si percepisca che la potenza dell’hardware di PS5 si sarebbe potuta sfruttare di più, il lavoro di allineamento grafico con Parte II c’è e si vede. Il mondo di gioco appare ora più realistico, immersivo e ricco di dettagli ed il merito è dovuto in buona parte dal nuovo sistema di illuminazione in grado di rendere l’immagine più nitida e cupa, amplificandone l’atmosfera orrorifica. È stata anche modificata leggermente la regia di alcune scene, una scelta apprezzata in quanto in grado di soffermarsi maggiormente sugli ambienti e sui personaggi che appaiono ora più vissuti, lacerati ed espressivi grazie ai nuovi modelli poligonali. Sempre da The Last of Us Parte II sono state mutuate le interfacce per il crafting, della salute e delle armi ora più chiare e meno invasive, la fluidità delle animazioni e come sono connesse tra loro, così come una visuale più ravvicinata nelle fasi di shooting e la pesantezza dei colpi inflitti che si può avvertire anche grazie al supporto (in questo caso solo appena accennato e non utilizzato alla perfezione come da altre parti) del DualSense.

Giocare il remake rende ancora più esplicito quanto Naughty Dog abbia migliorato il gameplay del secondo capitolo sotto tutti i punti di vista, dal dinamismo delle fasi d’azione, alla complessità del level design; il titolo – è bene dunque ribadirlo – è lo stesso del 2013 e come tale dovete aspettarvi il medesimo gameplay, seppur con qualche lievissima smussatura per renderlo più attuale. L’intelligenza artificiale, nonché uno dei punti dolenti dell’originale, è stata leggerissimamente migliorata, ma il risultato non è sempre percettibile: se da un lato gli infetti tendono ad essere più consapevoli dello spazio in cui si muovono risultando più efficaci e reattivi nelle fasi di accerchiamento, dall’altro gli umani continuano ad essere molto meno pericolosi sfruttando la sola componente numerica come punto di forza (scordatevi dunque la loro intelligenza e capacità tattica del secondo capitolo). Dovrebbe essere stato risolto anche il fatto che Ellie risultasse pressoché invisibile agli occhi dei nemici, ma ciò è vero solamente in parte e il problema si manifesta ancora, seppur con meno frequenza: piuttosto che gironzolare senza alcun criterio, la nostra alleata ora tenderà a rimanere nelle retrovie, ma soprattutto in caso di zone con più strade percorribili indugerà sulla direzione da prendere e capiterà di passare sotto il naso degli avversari senza che questi reagiscano in alcun modo.

Come in Parte II fanno capolino tantissime opzioni per l’accessibilità in grado di rendere l’esperienza fruibile da chiunque: la difficoltà di ogni caratteristica del gameplay può essere limata a piacimento, è possibile abilitare la mira assistita, utilizzare munizioni infinite, ridurre la percezione dei nemici, modificare la grandezza dell’interfaccia, implementare degli aiuti visivi e sonori, rimappare i comandi e molto altro. Sono presenti anche quattro modalità extra: due New Game + (uno tradizionale, l’altro che consente di mantenere all’avvio della seconda partita tutti i potenziamenti ottenuti), la speedrun e la morte permanente. Parlando invece di puri tecnicismi, The Last of Us Parte I ha tre modalità grafiche: “Fedeltà” che consente di giocare in 4K nativi e 30 fps stabili, “Prestazioni” con gli fps che salgono a 60 ma la risoluzione diventa in 4K dinamica e “Frequenza Fotogrammi” selezionabile solamente in caso di uno schermo compatibile e in grado di raggiungere i 120 fps. Come per The Last of Us Remastered completa il pacchetto “Left Behind”, il DLC che approfondisce il personaggio di Ellie. L’espansione si può giocare in qualsiasi momento selezionandola dal menu principale, ma trattandosi di un remake avrei personalmente preferito che fosse stata integrata direttamente nella campagna principale; o quantomeno avrei inserito la possibilità di scelta.

The Last of Us Parte I è lo stesso identico capolavoro uscito nove anni fa. I suoi personaggi, il suo mondo e la sua poderosa narrazione saranno in grado, ieri come oggi, di lasciarvi a bocca aperta dall’inizio alla fine. Se è vero che la nuova componente visiva contribuisca ad attribuire all’opera un maggior senso di immersione grazie alle nuove espressioni facciali dei protagonisti, all’ampliata densità degli ambienti e all’inedito sistema di illuminazione, è pur vero che le novità riguardanti il gameplay risultino efficaci solamente in parte: le curatissime ed apprezzabili opzioni per l’accessibilità fanno eco ad un’intelligenza artificiale sostanzialmente identica all’originale, migliorata solo leggermente senza mai raggiungere l’eccellenza di quella del secondo capitolo. Come in qualsiasi caso di re-release, dunque, la palla passa a voi. Se non vi siete mai approcciati al titolo, acquistatelo ad occhi chiusi; se invece siete veterani la scelta ricade in base a quanto valore attribuite al prodotto e nessuno vi obbliga a comprarlo immediatamente al lancio e a prezzo pieno (prima o poi lo troverete in sconto). Quello che invece è sicuro è il fatto che The Last of Us Parte I sia la versione migliore dell’opera di Naughty Dog presente sul mercato.

Il Buono

  • The Last of Us rimane un capolavoro con la sua narrazione, i suoi personaggi ed il suo mondo.
  • La versione migliore del gioco presente sul mercato.
  • La nuova componente visiva rende l’esperienza più immersiva.
  • Tante opzioni per l’accessibilità.

Il Cattivo

  • L’intelligenza artificiale è stata migliorata solo in parte.
9

Scritto da: Andrea "lordfener91" Dugoni

Laureato in Economia Europea, scrive News e Recensioni per passione e videogioca nei pochi momenti liberi. E’ un grandissimo amante del franchise di Star Wars (soprattutto di tutto ciò che riguarda l'Universo Espanso, Canon o Legends che sia) e si chiede se un giorno riuscirà mai a finire di leggere tutti gli innumerevoli romanzi e fumetti ambientati "tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana" usciti dagli anni ’70 ad oggi. Stalkeratelo sul Twitter: @lordfener91

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